Lidia Menapace, Canta il merlo sul frumento

29-11-2015

Dovremmo imparare ad essere gentili. L’unica rivoluzione possibile è quella culturale, di Donato De Ceglie

Lidia Menapace (cognome che ha "ereditato" con grande piacere da suo marito), partigiana classe '24, ha viaggiato per 900 km in treno da sola, ha raggiunto Trani per presentare in prima nazionale la sua biografia "Canta il merlo sul frumento" a Luna di Sabbia, per la rassegna culturale "Scrittori nel tempo" ideata da Vito Santoro e realizzata con la collaborazione di Alessandro Aruta.

«Sono un fagotto che gira il nostro Paese» dice sorridendo ad occhi stretti e con una "r" perfetta, come le ha insegnato il "dottor Culini" (pag. 20 - Canta il merlo sul frumento, ed. Manni). Un fagotto di Storia che si lascia cullare dalla sua memoria e ammalia il pubblico che incontra con grande semplicità e schiettezza. Resistenza partigiana, movimenti cattolici, l'insegnamento all'Università Cattolica del Sacro Cuore e poi l'impegno ne Il Manifesto, il movimento Cristiani per il Socialismo ed il suo femminismo attivo che parte da giovanissima, da quando ricevette in dono da sua madre un "codice esistenziale": essere donna è una questione di piedi. «Fate quel che volete, prendete marito, lo lasciate, lo cambiate. L'importante è che non dobbiate chiedergli i soldi per le calze, perché non si può essere indipendenti nella testa se si dipende nei piedi».

Il titolo evoca un'immagine poetica e bucolica ma sbuca nella memoria di Lidia all'ora del vespro, quando il latino veniva "italianizzato" durante il canto degli inni liturgici ed è così che l'inno estratto dal Pange Lingua composto da san Tommaso d'Aquino, il "Tantum ergo Sacramentum" era convenzionalmente scambiato con "Canta il merlo sul frumento". Con il critico letterario Vito Santoro ha potuto dipingere il suo percorso di vita tra l'insegnamento (emblematica la ricerca sulla figura della donna all'interno dei libri di testo negli anni '60, «gli uomini ogni mattina vanno a lavoro, chi in ufficio, chi in cantiere, chi in fabbrica, la donna era sempre di spalle in casa intenta a stirare o a badare alle cure domestiche») e la Resistenza, passando per il tema del "commiato" e la violenza.

«Ho sempre rifiutato la violenza. Non ho mai voluto addestrarmi all'uso delle armi, non volevo imparare a sparare nella pancia di nessuno ma era un modo per difendere me stessa. Avevo paura di farmi del male». La guerriglia non accetta prigionieri, lo ha sottolineato spesso, ed ha cercato di far luce sul lato "oscuro" della Resistenza. «Mi sono sempre battuta per lo scambio dei prigionieri, bisognava controllare i fiumi di odio che scorrevano, la Resistenza è oro e fango. Ricordo che nella mia classe eravamo in 19, e tre di loro sono morti in maniera barbara, c'era un ragazzo che forse sarebbe stato uno dei più grandi filosofi italiani oggi ed è stato fucilato mentre cercava di proteggere la ritirata dei suoi amici. Ricordo benissimo i pestaggi, anzi, i pestati. Visitavo spesso le carceri ed ero sempre più convinta che l'obiettivo della nostra lotta non dovesse ammettere torture o uccisioni».

Durante l'incontro è intervenuta anche lìeurodeputata della Lista Tsipras Eleonora Florenza, felicissima di aver incontrato a Trani Lidia Menapace. "In quanto donna non ho patria, la mia patria è il mondo intero", Lidia è cittadina della Storia e Luna di Sabbia ieri ha regalato ai tanti accorsi (anche da Ceglie, Castellana Grotte, Foggia) un momento di incontro con la memoria di un Paese intero. Per l'occasione, Maristella Forcella ha realizzato una sedia in onore della partigiana Menapace. Il suo progetto "Raccontamiunasedia" è stato accolto da tempo dalla libreria Luna di sabbia e le opere sono in vendita presso la stessa libreria. Alessandro e Alice, i librai della "casa delle lettere" in via Mario Pagano possono continuare a ritenersi un piccolo avamposto culturale, "che è l'unica rivoluzione possibile" (Lidia Menapace).